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Populismo di destra:
alla ricerca di un’alternativa

Intervista a Chantal Mouffe

Se è possibile definire il “populismo” come una tendenza a criticare le democrazie esistenti per il loro non essere sufficientemente democratiche e a chiedere più potere per il popolo, stando a Ruth Wodak e Majid Khosravinik (autori del libro Right-Wing Populism in Europe), “è stato affermato che il populismo di destra differisce da altre tendenze (ad esempio il Fronte Nazionale francese, il British National Party, l’Australian Freedom Party) dal momento che non si fa veicolo di un’ideologia coerente ma piuttosto propone un misto di credenze, stereotipi, atteggiamenti e relativi programmi il cui scopo è di rivolgersi e di mobilitare una gamma di segmenti di elettorato altrettanto contraddittoria”. Il populismo è sempre andato alla ricerca di una nuova “definizione dell’altro”, un’entità (sia essa una classe sociale o una specifica area del pensiero comune) di cui si osservi una decisiva posizione di opposizione al popolo.

Semplificando il concetto, Wodak e Khosravinik argomentano che “a seconda del carattere di quella “definizione dell’altro”, i diversi fenomeni del populismo contemporaneo possono essere categorizzati in diversi modi. Ma ogni tipo di populismo diretto contro un “altro” definito su base etica e/o nazionale e/o religiosa può essere visto come di destra”.

Il populismo di destra nel suo rapporto con i flussi dei rifugiati è stato l’argomento della tavola rotonda organizzata dall’UTE nel quadro del progetto di networking Conflict Zones. L’intenzione era di concentrarsi sulle reazioni registrate in tutta Europa in risposta alla recente emigrazione di massa dei rifugiati. Tuttavia, tale linea programmatica ha necessariamente incontrato un’urgenza civile e morale: l’intero dibattito è stato contestualizzato alla luce dei terribili attacchi terroristici avvenuti a Parigi solo la sera precedente.

Gli speaker hanno settato il tono della conversazione su un alto (e pure solido) livello teorico, piuttosto che su una linea di lavoro pratico. Ho cercato di approfondire alcuni aspetti intervistando Chantal Mouffe, professore di Teoria Politica alla University of Westminster di Londra.

Nel suo discorso introduttivo ella menzionava la grande responsabilità detenuta dai paesi occidentali nei confronti della crisi economica attuale, che viene presentata all’attenzione delle persone “come una catastrofe naturale”. Questo è un esempio di un’informazione distorta riguardo al reale ruolo di influenza giocato dal pensiero individuale nella conoscenza comune di e su un paese democratico. Eppure il populismo di destra è molto forte al giorno d’oggi. Secondo Mouffe, la ragione di questo successo sta nel fatto che manca una reale alternativa per l’elettorato. “La sinistra ha abbandonato lo strato più popolare confrontandosi solo con la classe media”, sostiene Mouffe, il popolo non riesce a trovare un contro-discorso nel pensiero della sinistra. Dall’altro lato, criticando le élite – le cui posizioni sono basate su un’educazione di alto livello e sul successo personale – il populismo di destra sta spesso usando una retorica tradizionalmente associata alla sinistra. Così, una gran parte degli argomenti di matrice sociale riguardo ai flussi dei rifugiati proviene da una fondamentale mancanza di un corretto e reale discorso culturale, in grado di inscrivere l’immagine di un popolo che arriva da altri paesi (devastati) in un immaginario comune. Di creare una nuova narrazione.

Chantal Mouffe
Chantal Mouffe

SLG – Professoressa Mouffe, come può la cultura, con i propri mezzi, contribuire alla creazione di questa narrazione, a far emergere un’alternativa?

CM – Io sono molto influenzata dal lavoro di Antonio Gramsci sui concetti di “intellettuale organico” e, ancor più, “senso comune”. Egli ricorda che, a un
dato momento, si manifesta un senso comune dominante, un senso comune
che fondamentalmente definisce come stanno le cose. Ma questo senso
comune non è qualcosa che si crei naturalmente, è sempre il prodotto di
una data egemonia. Perciò quello che il senso comune sta dicendo oggi è che
non c’è un’alternativa alla globalizzazione, né alle logiche di un mercato libero indiscriminato, e via dicendo. Io credo sia esattamente per questo che
i populisti di destra sono l’unica alternativa. Molte persone, specialmente
quelle appartenenti al settore popolare, sono innegabilmente influenzate
e attratte allo stesso tempo dalla globalizzazione. Ciò che secondo me
è importante è dunque di combattere per trasformare questo senso comune.
E certo questo senso comune si costruisce in vari modi: è per questo che le pratiche artistiche e culturali sono importanti. È in gran parte questo il modo in cui il senso comune si costruisce e si radica, quindi è dove io credo che il maggiore sforzo sia necessario. Lo scopo è di creare una visione differente, questo potrebbe fare la differenza nella spinta verso il popolo a creare una “passione per la speranza”. Non stiamo parlando di fede, è qualcosa che risulta da un certo progetto politico, che può diventare egemonico, quindi di fatto quello che io chiamo una struttura contro-egemonica. Ed è qui che credo che le pratiche artistiche e culturali giochino un ruolo decisivo.

SLG – Lei ha fatto riferimento ad alcuni esempi rilevanti – dal cinema, dal teatro, dalla letteratura – in cui una precisa narrazione può essere presentata al pubblico con l’obiettivo di chiarire le condizioni di vita di un certo gruppo sociale (i migranti sono solo uno tra molti). Nel mio lavoro come giornalista culturale mi chiesto se esista un modo per tali pratiche di non limitarsi ad aprire una diversa prospettiva su questi “altri”, ma di far sì che esse siano anche un ritratto dell’attuale situazione delle società in cui questi “altri” sono invitati a integrarsi. Questo perché a volte si rischia che, attraverso la creazione di una nuova narrazione, si finisca per assemblare una diversa forma di populismo. Abbia esso una matrice di destra o di sinistra.

CM – In effetti, l’unico modo di combattere il populismo di destra è di essere consapevoli dell’opportunità lanciata da un populismo di sinistra. Quando si parla di questo, occorre abbandonare l’idea che il populismo sia qualcosa di puramente legato al concetto di manipolazione. Non si tratta di manipolare la gente in un senso conservatore o progressista. Di fatto io seguo la teoria secondo cui il populismo non è qualcosa che incarni un senso in se stesso, ma un modo per indicare un fronte politico tra persone appartenenti a diversi strati sociali. In effetti la politica è necessariamente partigiana, si occupa sempre di creare un fronte, ma un fronte può essere creato in diversi modi.  E la tradizione di tale creazione di fronti si è storicamente definita a partire dalla dualità tra destra e sinistra. Anche in termini di dati interessi e relative classi sociali. Ma la ragione per cui abbiamo bisogno di abbandonare queste strette differenze è che esse portano a un pensiero che io chiamo “essenzialista”, in cui la coscienza politica è legata al posto occupato in una scala economica. E le cose non stanno così, l’identità politica è qualcosa che deve essere costruito a partire da un discorso politico. Oggi proprio il populismo di destra è molto bravo a costruire questo discorso politico, mentre non lo è la sinistra. Ciò impedisce di creare una sorta di ala popolare trasversale. Sono molto vicina a Podemos in Spagna, loro credono che molte persone non possano più sentirsi parte della sinistra, perché non fanno parte della classe lavoratrice, non riescono a scendere a patti con certe contraddizioni.

SLG – Quindi si tratta di salire su un gradino più alto del discorso.

CM – Esatto. Perché essi sono influenzati dalle politiche di austerità, non hanno un’identità che invece dovrebbe essere necessario rappresentare in un governo, mentre non lo è.

SLG – Sta dicendo che, per esempio, una persona non deve essere necessariamente omosessuale per combattere contro il pensiero omofobo, che va combattuto in quanto sottrazione di una libertà egualitaria e condivisa.

CM – Esattamente. Ma di nuovo, ciò che manca è un processo di costruzione di un’identità politica.

SLG – Lei crede che vi siano possibilità di cambiare dall’interno il termine “populismo”?

CM – Nella democrazia c’è una necessaria dimensione populista, perché la democrazia ha a che fare con il potere al popolo. Per questo mi trovo in forte opposizione con la deriva del termine populismo, con il suo diventare una forma di manipolazione. E i partiti intendono arginare proprio questo cambiamento. Quindi abbiamo bisogno di riabilitare, trasformare, ridare significato al termine populismo creando un’accezione positiva, ma di certo questo deve essere fatto riportando nelle mani del popolo il potere di decidere. Questa ricostruzione può ovviamente avvenire sia in direzione della sinistra che della destra. E questa per me è la questione centrale oggi: dal momento che stiamo osservando un progresso del populismo di destra, dobbiamo costruire un’alternativa populista di sinistra. Due partiti oggi stanno cercando di andare in questa direzione: Siriza di Tsipras e Podemos in Spagna. Un altro elemento è importante: occorre creare qualcosa che non sia puramente dalla parte dei partiti, ma in sinergia tra i partiti e il movimento sociale. Il populismo non è solo una forma di retorica, ma anche una forma di politica che mette insieme i movimenti sociali e i partiti tradizionali. Perché c’è sempre bisogno di una trasformazione interna allo stato.

 

Featured image of Chantal Mouffe © by Santiago Mazzarovich

 

Published on 25 November 2015 (Article originally written in Italian)