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Gli oggetti nello specchio sono più vicini di quanto appaiano

un commento sulla residenza ISO a Porto

ISO residency in Porto
© Susana Neves / TNSJ

Su e giù, su e giù, su e giù. Ecco come le strade di Porto ti portano in giro, da un piccolo caffè pieno di studenti persi nei libri al suono di un vinile che scrocchia, al fiume di turisti che scende verso il lungofiume. Vento forte, qualche spicchio di sole, molta pioggia. Questo il clima che accoglie la residenza di una settimana dell’ISO al Teatro Nazionale São João, una bolla temporale dedicata alla creazione e al brainstorming.

Il tipo di lavoro condotto da Nuno Carinhas e Nuno M. Cardoso con il gruppo di attori somiglia a quello che si fa in un laboratorio scientifico, giocando con elementi e dosi, provocando reazioni tra i performer e gli spettatori. La scelta di mescolare diverse traduzioni de Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus ha fatto apparire così tante contraddizioni. Le contraddizioni di un continente che vorrebbe agire e ragionare con una mente collettiva e scopre come a volte non gli sia possibile neppure comprendere le proprie stesse parole.

Una scena su tutte: un ufficiale tedesco detta una lettera a un segretario bulgaro, che non trova altra maniera che lanciarsi in una frenetica pantomima che mima i toni di voce e il loro supposto significato.

Non è un perfetto specchio di quello che sta accadendo oggi, quando un paese tenta di imporre le proprie regole a un altro? Non stiamo parlando solo di Europa, ma molto più della natura dei nostri attuali moduli di comunicazione, sommersi da una Babele di segni e strumenti contraddittori che danno l’illusione di una distanza più ravvicinata.

Potremmo unirci a questo gruppo di persone per una semplice passeggiata nel parco o per un sorso di chà in una segreta e ben ammobiliata sala da tè a Porto, e un’appassionata conversazione su religione e fede si intersecherebbe con commenti sulle strutture dei teatri nazionali, senza bisogno di giustificazione alcuna.

C’è sempre qualcosa di rigenerante nell’andare a fondo nella mente di un artista, dove ogni singolo dettaglio di percezione si trasforma in un elemento di un processo organico. Ed è così che domande così importanti sulla nostra possibilità di entrare in contatto come esseri umani possono essere localizzate e indirizzate da questo gruppo nel breve spazio di quattro giorni.

Per i giornalisti invitati a fornire uno storytelling, la prova aperta – svoltasi di fronte a una piccola ma molto attenta platea – è stata solo un punto di partenza, per scavare un sentiero verso un complesso ben più complesso.

Il gruppo è stato unito quattro anni fa; l’organico è cambiato, includendo nuove nazionalità che hanno introdotto nuove prospettive, alla ricerca di una sorta di equilibrio che, tuttavia, non ammette di essere congelato da un sistema gerarchico. Angelique, Balázs, Bilyana, Boris, Khwala, Kim, Luís, Petya Vanessa and Vincent (parte di un gruppo più ampio) hanno avuto modo di conoscersi sempre meglio e sono ora consapevoli del loro passato comune e in cerca di un comune futuro.

Sedere al loro tavolo per sette pasti, bere un bicchiere insieme, giocare come bambini nel parco qualche ora prima di lasciare Porto è stata un’esperienza altamente istruttiva. Ma ancora più interessante per un giornalista è stata la necessità di imparare un nuovo stato dell’osservare, di trovare un modo per essere presenti senza interferire. Essere lì mentre il gruppo spiegava e discuteva e cambiava idee ticchettando sul notebook o scarabocchiando sul taccuino ha significato testimoniare come il processo creativo sia qualcosa, ancora una volta, di contraddittorio per natura: domanda di rimanere in controllo e, al contempo, aperti a essere ostacolati e messi in crisi. Come scriveva Italo Calvino, “L’idea perfetta è quella che si lascia scartare per lasciar spazio a una migliore”.

Tra dubbi su quale debba essere la base testuale per una prossima ricerca e visioni molto diverse sulle estetiche e sulle poetiche delle arti performative, il centro dell’attenzione è stato di fatto un punto di incontro: un attore e un’attrice sul palco possono (e devono) essere i keynote speaker di un duro ma necessario discorso sulla società contemporanea.

Perché ogni azione condivisa è politica. E gli atti politici sono il cuore di una collettività e la chiave per una sua coscienza resa viva. Ecco l’ultima feconda contraddizione: i membri di un collettivo riscuotono una prominenza individuale. Ed è per questo che l’International Super Objective Theatre non dovrebbe mai dimenticare di restare soggettivo.

 

 

Published on 27 June 2016 (Article originally written in Italian)